Vita da operaio. Ha la schiena lesionata ma il "padrone" lo licenzia

Vita da operaio. Ha la schiena lesionata ma il “padrone” lo licenzia

Marco Olivieri

Vita da operaio. Ha la schiena lesionata ma il “padrone” lo licenzia

venerdì 21 Marzo 2025 - 08:40

È successo nel Messinese e si tratta di una ditta edile. Il datore di lavoro ha approfittato di una nuova norma

MESSINA – Alberto, lo chiameremo così, si è spaccato la schiena a furia di lavorare come operaio edile. Un contratto a tempo indeterminato in una ditta del territorio messinese. Tanti anni di lavoro e, a un certo punto, la sua schiena ha detto “basta”. Un dolore sempre più forte, anche perché ha più di sessant’anni. E allora ha cominciato a restare a casa, in malattia. Un periodo lungo e poi la “sentenza” del medico, dopo una serie d’esami: “Lei questo lavoro non lo può fare più”.

Basta arrampicarsi sugli edifici. E basta lavori in muratura. Il dottore gli consiglia di avviare le pratiche per l’invalidità e, preso dai suoi problemi, Alberto non invia nuove comunicazioni al datore di lavoro. Ma quest’ultimo è infuriato perché, dopo mesi, il “suo” operaio non è più tornato in servizio. Lo blocca su WhatsApp e rompe ogni tipo di dialogo. Qui il dipendente commette l’ingenuità di non trasmettere via pec una comunicazione per informare che sta facendo le pratiche d’invalidità.

La nuova norma e una beffa per il lavoratore

E così arriva presto un’amara sorpresa: in base a una nuova normativa, Alberto viene licenziato. Si tratta di una norma che introduce le “dimissioni per fatti concludenti”. L’articolo 26 del decreto legislastivo n. 151/2015 è stato modificato con l’aggiunta del comma 7-bis. Questa disposizione consente al datore di lavoro di risolvere il rapporto in caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine stabilito dal Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) applicabile. In mancanza di una previsione contrattuale specifica, il termine massimo è di quindici giorni (fonte dirittilavoro.it). A essere utilizzata contro il lavoratore è la mancata comunicazione via Pec o raccomandata, una volta che il suo “capo” aveva interrotto ogni rapporto con lui.

Per Alberto e la sua famiglia è una pugnalata dopo tanti anni nella stessa ditta. E in più il tentativo di mediazione all’ispettorato del lavoro non riesce. Non riesce, rileva l’avvocato dell’operaio, anche perché la nuova norma viene interpretata rigidamente ai danni di una persona che può dimostrare la sua buona fede. A partire dagli accertamenti medici. Ma ora Alberto si ritrova, oltre ai danni alla schiena, a non avere diritto alla Naspi (Nuova assicurazione sociale sull’impiego). Lui e sua moglie confidano nella giustizia ma i tempi dei processi civili non sono veloci, per essere eufemistici.

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Un commento

  1. Oltre a questi imprenditorini da strapazzo e maleducati, non è colpa solo di loro ma anche dell’INPS che a momenti fa andare in pensione a 80 anni. Vergognosi tutti

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