L’economia, diversamente da altre scienze, è legata sia alla teoria della razionalità sia all’etica. Essendo l’etica rilevante per l’economia, è difficile tenere separati i problemi metodologici che hanno per argomento il carattere dell’economia, dai problemi valutativi che riguardano le scelte individuali e le loro condizioni e conseguenze.
Le scelte di un soggetto (razionalità), sono determinate dalle sue preferenze, ma ciò non esclude che le preferenze siano orientate da principi morali (etica). Questa è la relazione che esiste tra economia e etica: entrambe le discipline, fanno appello alla categoria di razionalità, ed entrambe le discipline si occupano del comportamento umano…. ma con diversità di intenti.
L’economia è alla ricerca di quei principi che spiegano le interazioni di soggetti che vivono in società e che riguardano la produzione, lo scambio, il consumo, etc. di beni e servizi (con tutto ciò che questo implica): l’etica si occupa dei principi capaci di giustificare perché certi modi di interazione, piuttosto che altri, sono giusti, benefici o desiderabili.
L’economia spiega le interazioni sociali, assumendo l’esistenza di individui razionali nel senso di individui che massimizzano una qualche funzione obiettivo sotto vincoli; l’etica giustifica le interazioni sociali a partire dall’assunto che gli individui sono razionali, nel senso che conformano il proprio comportamento a standard di condotta universalmente accettabili.
Il concetto di benessere e di “buon vivere- ha una posizione di primo piano nel rapporto tra economia e etica.
Si tratta di un concetto molto complesso e controverso, sia sul piano teorico, sia su quello della sua misurazione, sia su quello dei compiti delle autorità politiche e sociali.
Esiste un consenso pressoché generale nella cultura del mondo occidentale moderno, nell’idea che il fine ultimo, e pertanto il metro di giudizio, dell’economia, della politica e dell’organizzazione sociale, sia il benessere di ogni individuo e della società.
La Costituzione americana, stilata alla fine del XVIII secolo, dichiara che i cittadini hanno -diritto alla felicità-, presupponendo quindi che lo Stato abbia il dovere di realizzare questo diritto o di fare in modo che i cittadini possano realizzarlo.
Va ricordato che questa idea è nata con la rivoluzione filosofica (illuminismo) ed economico-politica del XVIII secolo, e che essa rappresenta una svolta radicale rispetto al pensiero dominante nei secoli precedenti.
Secoli nei quali il compito richiesto a chi governava, era stato quello di realizzare un ordine sociale giusto, secondo criteri fissati da principi assoluti, in gran parte di natura teologica, totalmente indipendenti dai valori degli individui.
Al contrario, il criterio del benessere presuppone la centralità dell’individuo e dei suoi valori soggettivi.
Ed allora: che cosa determina il benessere individuale (problema del contenuto del benessere)?
Chi, e con quali mezzi, può o deve mettere ciascuna persona nelle condizioni di ottenere il proprio benessere? Quali limiti possono essere imposti alla ricerca del benessere individuale?
Quale relazione esiste tra il benessere del singolo e quello della società?
La complessità nasce dal presupposto stesso della moderna teoria del benessere, vale a dire la centralità dei valori soggettivi dell’individuo.
Se il giudice ultimo di ciò che è bene per sé, è l’individuo stesso, come possono altri individui, e con quale diritto, decidere che cosa determina il benessere individuale? E come è possibile confrontare il benessere di individui diversi, che hanno preferenze e valori diversi? Con quale comparazione?
Pertanto, il problema di quali siano i mezzi più idonei per la realizzazione del benessere è altrettanto complesso e controverso.
Nessuno dei criteri di benessere disponibili è pienamente soddisfacente o esente da critiche. Tuttavia va sottolineato, che non è pensabile di poter fare a meno di un criterio di valutazione dei sistemi economici e delle politiche economiche.
A misura del benessere sul piano operativo e degli interventi a favore dello sviluppo, sono stati elaborati alcuni criteri di misura, quali i criteri quantitativi effettivi, che presuppongono che il benessere dipenda essenzialmente dalla quantità di beni e servizi effettivamente utilizzati da un individuo, i criteri qualitativi, i quali cercano di allargare la valutazione del benessere ad aspetti non solo economico-quantitativi (capacità, opportunità, sviluppo umano); i criteri relazionali, i quali prendono in considerazione la posizione dell’individuo nella società e non solo il suo benessere individuale assoluto (ad es. equità).
L’equità è una situazione conforme a principi di giustizia, in particolare nel confronto tra individui in condizioni analoghe (equità orizzontale) o in condizioni diverse (equità verticale).
Nell’uso corrente equità è usato come sinonimo di -giusto- (ad es. giudizio equo, compenso equo, ecc.), ma più precisamente l’equità indica un giudizio comparativo, vale a dire una situazione -giusta- nel confronto tra due individui (o gruppi, società, etc.).
Allora, se si confrontano due individui considerati analoghi per tutti gli aspetti rilevanti della situazione, si parla di equità orizzontale (ad es. è equo lo stesso compenso per le stesse prestazioni); se si confrontano due individui considerati diversi nella situazione data, si parla di equità verticale (ad es. è equo un compenso maggiore per uno sforzo maggiore).
Il sistema politico in genere è chiamato a realizzare i criteri di equità che emergono dalla società, ma questo compito non è sempre agevole.
Il problema dell’equità è particolarmente acuto nel campo economico, e riguarda soprattutto la distribuzione del reddito e/o della ricchezza , ossia la cosiddetta equità distributiva.
I paesi nei quali si crea una forte disuguaglianza tra chi ha molto e chi ha poco reddito (ricchezza) sono quindi giudicati iniqui. Allo stesso modo, sono giudicate inique le enormi disparità economiche nel mondo. L’equità vuol dire concettualmente dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare al gioco economico.(interazione etica/economia!)
Quindi, equità vuol dire, generalizzando, non umiliare nessuno.
Noi sappiamo che quando la persona umana perde la propria dignità, perde la stima di sè, quella che Smith chiamava la self-esteem, e quando noi perdiamo la self-esteem non c’è più nulla da fare, possiamo vegetare o possiamo vivere, però è una vita molto povera, direi molto poco gratificante e soddisfacente.
Quest’ultima osservazione vale a darci conto della importante posizione, nelle scienze sociali, dell’economia, la quale è riuscita, nel corso dell’ultimo secolo, ad entrare a far parte di ambiti di indagine tradizionalmente riservati alle scienze sociali, inserendo l’orizzonte etico, nello scambio/rapporto economico.
Sara Rodilosso
Operatore Istituto Centrale di Formazione di Messina
Dip.Giustizia Minorile