“Messina: città effimera-, titolava il Messaggero il 22 agosto 1943, e così commentava nei sottotitoli: “E’ stata distrutta diciannove volte in quaranta secoli, quattro volte negli ultimi centosessantanni. Le macerie ingombrano le ampie strade discendendo dai colli verso la marina come il rigurgito di un naufragio apocalittico sopra un estuario mostruoso… e, su tutto, il silenzio-.
Vorrei partire da queste considerazioni senza avere presente un obiettivo e senza puntare a raggiungerlo, ma lasciando aperta ogni tipo di riflessione e successive considerazioni a chi sia interessato a farne. Città distrutta diciannove volte in quaranta secoli, sembrano poche se paragonate alla sua lunga esistenza, ma tante se si pensa che città con meno distruzioni alle spalle, come Pompei, Imera, non hanno più avuto la forza per rinascere. Indubbiamente ha giocato a favore di Messina la posizione di indiscutibile prestigio avuta su tutto il mediterraneo; motivi geografici, economici, politici e, perché no, anche sociali sono stati determinanti. Si ha come la sensazione che Messina sia cresciuta grazie alla distruzione, a catastrofi che hanno ridotto in macerie la città, ma posto paradossalmente nuove premesse per cambiamenti che le hanno permesso di rivitalizzarsi e continuare a crescere.
Quattro volte negli ultimi centosessantanni fra terremoti e bombardamenti in cui ha conosciuto povertà e miseria, riuscendo però sempre a riprendersi; i suoi abitanti anche se stremati, impauriti, ridotti in povertà, senza una casa e circondati da lutti hanno ricominciato da dove la distruzione aveva scosso le loro vite. Sulle macerie la ricostruzione, fra le macerie i passi di lavoratori, i giochi di bambini e le lacrime dei vecchi, quante vite sono state mandate nelle latrine del tempo, quante esperienze, emozioni dimenticate. Poche quelle tramandate dai figli dei superstiti e pochi oggi di quei figli a tramandare il passato. Quella che vedo oggi e che vivo quotidianamente è una città sempre più allo sbando. Cosa aspettarsi? A chi affidarsi? Sperare nelle istituzioni non credo sia più possibile in una città che oggi sembra l’eterna incompiuta, dove l’incertezza è ormai la norma.
Esempio di questa situazione è la condizione di commissariamento che si vive ormai da mesi, nell’attesa che le imminenti elezioni possano portare ad un nuovo assetto e quindi nuova stabilità. Come si può definire se non incompiuta una città che non è riuscita a portare avanti una efficace politica edilizia che permetta di far fronte alle esigenza di centinaia di famiglie costrette a vivere ancora oggi in abitazioni fatiscenti. Come commentare poi la cristallizzazione di un mondo del lavoro, già difficile, in cui alle volte più le raccomandazioni che le competenze professionali vengono tutelate. Per non parlare di quei posti di lavoro ormai corsie preferenziali di quella città malata che fa di tutto per favorire i propri figli. Ma queste sono solo riflessioni personali… Credo che il lavoro paghi, che lo studio e i sacrifici, la passione per ciò che si ami aiuti, ma purtroppo tutto questo non basta più!
Allora mi chiedo cosa sia più giusto fare, restare e aspettare che qualcosa cambi, esporsi in prima persona e farsi promotori del cambiamento, o lasciare il luogo in cui si è nati, la propria casa, le abitudine, gli amici e cercare fortuna altrove? Ricordo con orgoglio le parole che mio padre, scomparso ormai da un anno, era solito ripetere: ricordati che l’unica cosa che posso darti sono gli strumenti e le possibilità per studiare, non ho conoscenze importanti e non sono ricco, tutto quello che desideri dovrai crearlo con le tue mani, con il tuo lavoro e con la tua perseveranza. Oggi capisco che mai parole furono più giuste e profetiche, anche se all’epoca non avevo ancora la maturità per comprenderle pienamente e che spesso amo ricordare per trovare nuova forza e sicurezza.