Trivelle sì, trivelle no: domani è il giorno del referendum. Le ragioni dei due fronti

Trivelle sì, trivelle no: domani è il giorno del referendum. Le ragioni dei due fronti

Giovanni Passalacqua

Trivelle sì, trivelle no: domani è il giorno del referendum. Le ragioni dei due fronti

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sabato 16 Aprile 2016 - 00:17

Dove, come, quando si vota; le posizioni di favorevoli e contrari; insomma, tutto quel che c'è da sapere a proposito del referendum "sulle trivelle"

Domenica 17 aprile si vota per il referendum abrogativo sulla norma che permette di prorogare le concessioni per l’estrazione di gas e petrolio nelle aree marine entro 12 miglia dalla costa fino all’esaurimento del giacimento. Le urne saranno aperte dalle 7 alle 23; per votare, sarà necessario recarsi al proprio seggio muniti di tessera elettorale e documento d’identità. La consultazione prevede il quorum del 50%+1 degli elettori. Sarà il primo referendum proposto su iniziativa dei consigli regionali – nove in tutto; la Sicilia si è dichiarata contraria.

Di seguito il quesito: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?”

Il referendum e le trivelle
Il quesito referendario non riguarda direttamente le trivellazioni, ma il termine delle attività estrattive già avviate. Il governo ha modificato la legge per impedire nuove trivellazioni entro le 12 miglia marine, mentre i sei quesiti inizialmente proposti venivano esaminati dalla Corte Costituzionale. Dopo i correttivi, sono decaduti cinque quesiti; il sesto è stato ammesso perchè, secondo i giudici, “non comporta l’introduzione di una nuova e diversa disciplina, proponendosi un effetto di mera abrogazione al fine di non consentire che vi siano deroghe ulteriori rispetto alla durata dei titoli abilitativi già rilasciati”.

Anche le concessioni precedenti all’entrata in vigore delle nuove leggi non sono materia del referendum: è il caso della piattaforma Vega B, di proprietà di ENI, che ha ricevuto nel 2012 una proroga decennale per effettuare nuove perforazioni. Le nuove trivellazioni oltre le 12 miglia restano inoltre permesse.

La questione ambientale
Tra le principali ragioni dei si vi sono le preoccupazioni legate ai danni ambientali. Il fronte ambientalista cita un recente studio ISPRA, che ha evidenziato il superamento di alcuni valori intorno agli impianti presenti in Italia; sono inoltre presenti rischi legati a possibili guasti o imprevisti. I No sostengono invece che l’attività estrattiva abbia tutto sommato un ridotto impatto ambientale, e che per ragioni tecniche i fondali italiani non presentano gli stessi rischi di quelli presenti, ad esempio, nel golfo del Messico.

La portata del referendum
Il referendum riguarderà una trentina di concessioni, che ospitano circa 50 piattaforme. La maggior parte di queste estrae gas e, in misura notevolmente inferiore, petrolio; si tratta rispettivamente del 17,6% e del 9% della produzione totale italiana. Le concessioni di questi impianti scadranno, a partire dal 2018, entro circa 20 anni.

Più incerti i dati sull’occupazione: le stime parlano di alcune migliaia di lavoratori coinvolti, ma le concessioni non termineranno il giorno dopo il referendum, e non è dunque chiara l’effettiva ricaduta occupazionale di una eventuale vittoria del Si.

Le risorse del sottosuolo sono di proprietà dello Stato, che le concede a privati tramite il pagamento dei diritti, le cosiddette royalties: in Italia sono fissate al 7% per le attività off-shore. Altre entrate provengono dalla tassazione: l’IRES al 27,5%, l’IRAP al 3,9%, l’addizionale IRES del 10,5% e la Robin Tax. Secondo i dati del MISE, il prelievo complessivo sulle attività estrattive è del 68%.

Infine, per il fronte dei Si le piattaforme sono in conflitto con il potenziale sviluppo turistico delle aree in cui operano; i No rispondono a questa critica facendo notare come proprio alcune delle aree in cui sono presenti più impianti sono note per la notevole presenza di turisti (è il caso della riviera romagnola).

Il valore politico
Il voto di domenica è stato caricato di un forte valore politico: per i Si, abrogare la norma vuol dire lanciare un segnale chiaro in direzione delle energie rinnovabili, sulle quali concentrare gli sforzi. Il fronte dei No sostiene invece che la consultazione non influisca concretamente sugli investimenti nel settore delle rinnovabili, e che comunque non sia possibile un’emancipazione dalle fonti fossili in brevissimo tempo.

Bisogna poi sottolineare il conflitto creatosi tra le Regioni, cui è attribuita la competenza in materia di politiche energetiche, e il governo che, attraverso la riforma della Costituzione, vuole revocare alcune di queste competenze agli enti locali.

Giovanni Passalacqua

4 commenti

  1. Io vado a votare domani mattina. E voto SI’. Dopo, semmai, vado al mare (ricordate ? roba dell’altro secolo).

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  2. Io vado a votare domani mattina. E voto SI’. Dopo, semmai, vado al mare (ricordate ? roba dell’altro secolo).

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  3. Fondamentale votare si.

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  4. Fondamentale votare si.

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