Il terremoto, il silenzio e nulla se non urla agghiaccianti attraversano la città.
Lo spettacolo al quale stiamo assistendo è dei più desolanti, li dove sorgeva una città più che millenaria, non si alzano che cumuli di macerie. Nulla è stato risparmiato, palazzi sono crollati, case si sono accartocciate su interi nuclei familiari, dei villaggi che facevano da corollario alla città non resta che il nome sulle carte topografiche.
Un numero imprecisato di bambini vaga fra le macerie, alla ricerca di genitori persi per sempre, ingoiati dalla terra e dal fango, creato dalla pioggia battente. Una madre stringe fra le mani il figlio esanime, come in attesa di un improvviso risveglio. Un bambino piange ai piedi dei genitori, senza capire, senza sapere. Difficile poter fare un calcolo dei decessi, anche se l’entità del disastro permette delle stime per il momento approssimative. Si ipotizza che i morti siano compresi fra le 60000 e le 100000 unità, su una popolazione di 140000 abitanti, sono cifre che fanno paura.
Numeri che comunque non potranno essere accertati per l’eccessiva quantità di detriti da rimuovere e per l’impossibilità di raggiungere i corpi. Il destino è stato ancora più avverso, il Municipio, infatti, è crollato e con lui sono andati persi tutti i certificati di nascita, ancora più arduo, quindi, potere aver una stima precisa.
Messina come uno sterminato cimitero, corpi destinati a restare senza nome, irriconoscibili, non una lapide, non una croce se non crudi mattoni polverizzati.
Per coloro i quali hanno cercato e cercano di immaginare la fine del mondo, troverebbero a Messina la risposta.
All’alba di oggi, alle 5 e 21 un forte boato ha spezzato il silenzio della notte. In trenta lunghissimi e interminabili secondi una scossa, pari al decimo grado della scala Mercalli, ha spezzato migliaia di vite, sepolte sotto il peso degli edifici piegati come giunchi.
Dei messinesi che solo ieri affollavano le vie cittadine, la Marina, il Giardino a Mare, i negozi in via Garibaldi, non restano che corpi senza vita, orrendamente mutilati come se fossero stati vomitati dalla terra.
La quiete prima della tempesta, un cielo brillante di stelle, non un alito di vento, nulla di tutto questo avrebbe potuto fare presagire il caos infernale di queste ore. Nessuna zona della città è stata risparmiata, quanti sono riusciti a trovare scampo, hanno raggiunto incautamente il porto, dove si è abbattuta una onda sismica di pochi metri. La mareggiata, seppur di una certa intensità, non ha compromesso gli edifici prospicienti il porto.
La banchina, alta fra i due e i tre metri sopra il livello del mare, è stata ricoperta, già abbassata e sommersa in più punti, ultimo ostacolo prima che il mare colpisse la Palazzata. La mareggiata facendosi strada fra i detriti della stessa e le traverse della cortina, ha finito la propria corsa sul corso Garibaldi, portando con se tutto quanto incontrava. Le merci accuratamente disposte sulla banchina sono ora sparse confusamente. Non un ormeggio ha resistito, le navi sono state sbattute, scagliate sulla banchina o trascinate alla deriva, per effetto del terremoto.
I corsi dei fiumi Zaera, del Portalegni, il Camaro, il Trapani, SS. Annunziata, sono stati percorsi, all’altezza della foce, per pochi metri dalla mareggiata. Più il tempo passa e più si delineano i contorni di una tragedia che non ha precedenti. Tutte le vie di comunicazione risultano interrotte e mentre si cerca di riattivare i contatti con il resto d’Italia, in attesa di aiuti, si inizia a scavare con mezzi di fortuna, persino con le mani se è necessario, fra le macerie.
Il sisma ha colto i messinesi nel sonno e in molti sono rimasti sepolti vivi da quelle stesse macerie che ora ricoprono il sito dove sino a poche ore fa sorgeva l’Ospedale Civico, nell’immaginario collettivo speranza di salvezza e aiuto. Quanti infatti sono accorsi per trovarvi rifugio e constatato il disastro, hanno iniziato a raggiungere il porto!
Il carcere non esiste più, i calcinacci hanno sepolto le guardie nei loro dormitori, mentre molti detenuti sono riusciti a darsi alla fuga. Emergenza nell’emergenza, la sicurezza è diventata una priorità, che con difficoltà potrà essere assicurata, ora che la Questura, le caserme dei carabinieri e tutti i presidi militari di Messina sono stati cancellati.
La caserma della Regia Guardia di Finanza è stata schiacciata dal peso della grande tettoia, impedendo ai militari la fuga. Simile è lo scenario offertosi ai nostri occhi sul sito dove sorgeva la stazione, trasformata in più punti, dalla forza del sisma, in un groviglio di lamiere. Il corpo di un ferroviere, la cui parte inferiore è ridotta a un cumulo di brandelli, giace morto a terra.
Agghiacciante la vista di ciò che resta degli edifici rimasti in piedi e non ancora caduti per effetto delle scosse di assestamento, che ancora insistono sulla città. Di alcuni edifici non è rimasta che la facciata, mentre in alcuni casi al crollo della stessa ha resistito il resto della struttura, lasciando a nudo camere da letto, stanze da pranzo ancora imbandite dalla sera precedente, frammenti di vita mortale.
I cadaveri non si contano più, appoggiati su balconi crollati, distesi al suolo in pose innaturali, caduti da palazzi polverizzatisi al suolo, i cui resti sono franati su strade delle quali non si riconosce più il tracciato. Corpi nudi, se non ricoperti da vesti fatte in brandelli, donne, uomini, bambini, ricchi e poveri, uniti dal medesimo destino.
Dove non regna altro che caos, il silenzio è rotto dalle urla strazianti dei sopravvissuti, bloccati, incapaci di muoversi, soffocati dalla polvere che ne riempie i polmoni e dalla terra che soffoca rantoli sempre più muti.
Il Corso Cavour in più punti presenta profonde voragini longitudinali, mentre in via Cardines, le facciate di alcuni edifici si sono letteralmente sgretolate.
Non molto lontano, il Monte di Pietà non è che un lontano ricordo, solo la facciata si è salvata, mentre la Camera di Commercio, il Tribunale, la Dogana, le Poste e il Museo non hanno avuto la forza di resistere. Le fiamme hanno iniziato ad avvolgere la città , non una goccia di acqua, tranne la debole pioggia che cade sulle rovine di una Messina distrutta.
A Nord della città la situazione non è diversa, Paradiso, Contemplazione, Pace, Grotta, S. Agata, Ganzirri, Punta Faro e Mortelle sono state divelte dal terremoto, spazzate via dalla furia del mare. Un disastro di proporzioni eccezionali,i cui effetti hanno colpito vaste zone della Calabria, riservando una sorte analoga a quella toccata a Messina.
Cosa resta della spensieratezza di questi giorni? Cosa resta del Teatro, dove sino a ieri è andata in scena l’Aida? Dove i carri carichi di merci che affollavano il viale San Martino? Dove i circoli di parenti riuniti per i consueti giochi natalizi? Di tutto questo non resta più nulla, solo la rabbia per la sconsideratezza di una città che dimentica troppo facilmente il passato.
Un passato recente, fatto di frequenti terremoti, l’ultimo quello del 1783, che rovinò la città. Una politica edilizia che troppo presto ha messo da parte i buoni propositi e la sicurezza, per una città cresciuta troppo in altezza e dove le più elementari norme antisimiche sono state evase, le stesse che avrebbero potuto rendere meno drammatico questo triste giorno.
(All’interno della photogallery è possibile la visione di alcune immagini della città terremotata. Per la gentile concessione delle foto si ringrazia il signor Domenico Fazio).