Preti usurai e immorali. L'arcivescovo Filippo Crispi corre ai ripari.

Preti usurai e immorali. L’arcivescovo Filippo Crispi corre ai ripari.

Redazione

Preti usurai e immorali. L’arcivescovo Filippo Crispi corre ai ripari.

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sabato 28 Giugno 2008 - 05:54

Qualcuno ricorda ancora l’uomo rappresentato nel dipinto? Qualcuno ricorda ancora per cosa è nato, vissuto e morto? Qualcuno ricorda ancora i suoi insegnamenti? La chiesa e i suoi rappresentanti ricordano o hanno dimenticato?

Sappiamo bene quale sia lo stato di corruzione e di amoralità presente nella nostra città. Non fa più scandalo quindi, che gran parte del clero messinese sia caduta vittima di quegli stessi peccati da sempre duramente condannati. Molte attività commerciali, sulle quali si regge l’economia messinese, da tempo vengono gestite da sacerdoti ed alte cariche ecclesiastiche, più attenti al peso delle loro borse, che a quello delle anime.

Come se non bastasse questi uomini di chiesa si sono prestati, con successo, alla pratica dell’usura, fermamente condannata dalla chiesa. Le scene delle quali siamo stati testimoni non danno spazio ad alibi, come è possibile che si sia diffuso fra i nostri sacerdoti il vizio del gioco dei dati? Come è possibile che non mostrino più rispetto nei confronti degli abiti che portano, facendo sfoggio di acconciature, capelli e barba incolte, poco rispettose per il ruolo che ricoprono?

Non è la prima volta che si verificano episodi di questo tipo, ma qualcosa sembra essere cambiato. Il cardinale Filippo Crispi, ha deciso, infatti, di porre un freno agli eccessi del clero messinese, preparando degli statuti sinodali, che, tempi permettendo, dovrebbero entrare in vigore il prossimo agosto, portando una ventata di nuova moralità.

Cosa ha permesso, però, che nell’anno del signore 1392, la situazione deteriorasse a tal punto da spingere l’arcivescovo ad un’azione di forza così energica? Molto è da imputare alla situazione politica e alle vicissitudini che, dopo alterne vicende, hanno portato sul trono Martino I, nipote del re d’Aragona Pietro IV il Cerimonioso ed Elena di Sicilia, figlia di Pietro II, defunto re di Sicilia.

Ricordiamo per dovere di cronaca, che la morte di Matteo Palizzi nel lontano 1353, a seguito della rivolta della città, aveva lasciato un vuoto politico, che, nè Ludovico nè Federico IV d’Aragona, figli di Pietro II, avevano avuto il tempo e la capacità di colmare.

Di questo lungo periodo di incertezza il patriziato messinese è riuscito ad approfittare, ramificandosi ancora di più nel cuore politico ed economico della città. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che molte famiglie patrizie messinesi, abbiano iniziato a guardare al mondo ecclesiastico con occhio diverso. Non si contano più gli esponenti della Messina bene, che, attirati dai privilegi che il mondo clericale poteva offrire loro, non hanno perso tempo, decidendo di intraprendere la carriera ecclesiastica. Decisione dettata nella maggior parte dei casi, più da interessi economici che da vera e cosciente vocazione religiosa.

Si spiegano così i provvedimenti sinodali preparati dall’arcivescovo Filippo Crispi, nei confronti del quale, sia i sacerdoti, quelli ancora fedeli al loro giuramento, che semplici cittadini, hanno mostrato soddisfazione e apprezzamento.

Dei 69 capitoli, che compongono gli statuti sinodali ricordiamo quelli relativi alla custodia e all’uso dell’olio santo, data la pericolosa noncuranza dei sacerdoti, per quelli che sono momenti fondamentali del loro ministero. Con troppa leggerezza infatti i nostri sacerdoti hanno praticato in questi anni il loro sacerdozio. Si fa inoltre divieto di amministrare i battesimi ed il matrimonio nelle case private, occasione per le classi più agiate di far sfoggio di lusso e potere. Molto spesso ci si dimentica dell’importanza della liberazione del peccato originale e di un sacramento che lega per tutta la vita due esseri umani.

Fondamentali sono poi i capitoli volti a migliorare la preparazione e la cultura dei nostri sacerdoti, in alcuni casi privi delle più elementari nozioni grammaticali. Per contrastare, poi, l’ormai diffusissima consuetudine che vede i sacerdoti totalmente coinvolti nelle attività commerciali e di usura, ricordiamo l’articolo 21, nel quale si fa finalmente assoluto divieto a tutto il clero peloritano di dedicarsi a tali attività. Perfino il voto di castità, trasgredito più volte, come testimoniano le frequenti visite ai monasteri cittadini, è stato regolato dalle nuove normative.

L’unica ricchezza che i nostri sacerdoti dovrebbero avere a cuore, è quella delle anime, che in quanto pastori e servi della chiesa e di Dio, è compito loro condurre e guidare.

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