La peste ha finalmente esaurito i suoi effetti mortali, la vita è ripresa e come spesso accade dopo eventi catastrofici di tale portata, la memoria storica della nostra città, decimata dei suoi figli, ne ha inevitabilmente risentito. Crediamo opportuno quindi ricordare ai nostri giovani, gli eventi vissuti dalla città fra la fine del secolo scorso e i primi anni del 1300, convinti che questo possa permettere una migliore comprensione del nuovo assetto politico raggiunto dalla città, ora sotto la guida di Matteo Palizzi.
L’arrivo a Messina, il 2 ottobre del 1282, di Pietro III d’Aragona, fregiatosi del titolo di re di Sicilia con il nome di Pietro I, ha posto fine all’assedio della città ma non a quella che è notoriamente conosciuta come guerra del Vespro.
Dalla sua morte, avvenuta l’11 novembre 1285, sul trono di Sicilia si sono seduti in rapida successione Giacomo I (1285-1296) e Federico III d’Aragona (1296-1302).
Finalmente solo con l’ascesa al trono di Federico III si è potuto raggiungere un compromesso che potesse porre fine alla guerra del Vespro.
La pace di Caltabellotta, stipulata il 31 agosto del 1302 con Carlo di Valois, figlio di Filippo III di Francia e Isabella d’Aragona, per conto di Carlo II d’Angiò, ha assicurato il possesso del regno di Sicilia a Federico III fino alla sua morte. Il nuovo sovrano d’altro canto è stato costretto a rinunciare definitivamente ad ogni aspirazione espansionistica nei confronti della Calabria.
Ad inaugurare una nuova stagione politica per la nostra città, è stato il successore di Federico III, e sovrano di Sicilia, Pietro II. L’ascesa al trono del nuovo sovrano è coincisa con la piena maturazione nel panorama politico cittadino della famiglia dei Palizzi.
I legami stretti con Pietro II e la fedeltà dimostrata negli ultimi anni, hanno notevolmente rafforzato la famiglia messinese alla guida della città. Come non ricordare il ruolo avuto da Matteo Palizzi nello scoprire e sventare una congiura ordita da Francesco Ventimiglia e Roberto d’Angiò, ai danni di Pietro II.
Altri illustri esponenti del casato messinese sono balzati agli onori della cronaca, per la grande competenza dimostrata in ambito giuridico, come Vinciguerra, Damiano I e Damiano II, il cui impegno e bravura hanno consentito loro di entrare a far parte, a pieno titolo, del ceto forense della città.
Tutto queste circostanze e coincidenze hanno spianato la strada alle ambizioni politiche dei Palizzi, che da abili strateghi hanno avuto la capacità di stringere sempre di più le maglie del potere sulla città e di accattivarsi le simpatie del sovrano. Negli ultimi anni, infatti, Matteo è riuscito ad accrescere prestigio e potere, ricevendo l’investitura di conte di Novara e signore di Tripi, Caronia, Saponara, Militello.
Neanche il breve esilio al quale Matteo è stato costretto nel 1340, è riuscito ad intaccarne il potere e la solidità. Tutti ricorderanno il suo ritorno trionfale a Messina nel 1348, accompagnato con canti di gioia da un corteo di palizziani, che all’annuncio del suo imminente ritorno, è uscito fuori dalle mura ad accoglierlo. Quelle stesse mura che qualche tempo prima avevano visto la popolazione abbandonare alla rinfusa la città, per sfuggire al contagio della peste.
A scanso di equivoci e con il chiaro intento di consolidare la propria posizione, il nuovo signore della città, nonché vicerè per la prematura morte di Pietro, ha deciso di convolare a nozze con la vedova, Elisabetta di Carinzia, stabilitasi da tempo a Messina.
A coronamento dei suoi importanti successi, ha assunto infine la tutela dell’erede al trono, Ludovico, passo decisivo non solo per dimostrare, a quanti non l’avessero capito, che Messina ha un solo padrone, ma per orientare la futura politica fiscale a proprio favore. Di qualche giorno fa è infatti la richiesta, a nome del futuro sovrano, di un contributo straordinario, in denaro, alla città. I fondi così ottenuti e che avrebbero dovuto impinguare le casse regie, sono stati alla fine incamerati dallo stesso Matteo e dai suoi burocrati.
La nuova politica fiscale, ha fortemente compromesso i rapporti con i commercianti, cuore pulsante della città, che, risentiti, hanno polemicamente fatto presente l’iniquità dei provvedimenti, che non hanno assolutamente intaccato i patrimoni della classe giuridica cittadina.
Con queste premesse e con il ricordo, ancora fresco nella mente, dei giorni orribili della peste, ci sentiamo di chiedere a gran voce, più sicurezza e più giustizia, in una città le cui enormi possibilità sono sempre state piegate agli interessi di pochi.