Oggi sono Mata e Grifone ma una volta...
Già dovrebbero cavalcare per le nostre strade, eppure non ci sono, ma non per questo ce ne dimentichiamo. Ci mancano il nostro Gigante e la nostra Gigantessa, ma poche persone sanno chi erano veramente: sto per svelarvi questo segreto.
La Fabula Cammarota
L’anno scorso divampò la polemica quando si voleva ridurre la sola cavalcata dei Giganti su Camaro a mero trasferimento privo dell’abituale corteo musicale, e tutta Messina si lamentava dicendo: “la Passeggiata dei Giganti è stata annullata”, come se quella fosse l’usanza ancestrale e il resto del tragitto non valesse tanto; ma poi si fece dietrofront e le acque si calmarono. Alla luce di questi fatti, mi avvalgo di quest’anno sabbatico per sfatare un falso mito, perché il mito è un altro.
I Messinesi oggi sono abituati a chiamare Mata e Grifone i Giganti e più o meno tutti ne conoscono la presunta vicenda narrata e rinarrata: lui è un moro, assalta Messina, vede la bella cammarota Mata e se ne innamora, la rapisce, e alla fine lei acconsente a contraccambiarlo a patto che si converta al Cristianesimo, e insieme fondano Messina. C’è un’evidentissima contraddizione: “assalta Messina” all’inizio e “fondano Messina” alla fine, ma va riferito pure che in altre versioni Mata non è cammarota ma giostrota e in altre non è una popolana ma una principessa, e per completare aggiungiamo che Mata e Grifone appaiono pure in Calabria; evidentemente c’è qualcosa che non va in questo racconto di fondazione. Ma si può dimostrare che questa che viene detta leggenda – e che per brevità chiamerò “Fabula Cammarota”, essendo là ambientata – non ha nulla a che fare con l’identità dei Giganti.
C’erano una volta Zanclo e Rea…
Procediamo con un excursus sullo sviluppo delle due statue. Sappiamo che all’inizio (forse già nel Medioevo) per l’Assunzione – quando non esisteva la Vara – sfilava un solo gigante appiedato che rappresentava il mitico fondatore di Zancle, chiamato prima Messano e poi Zanclo, ma innanzi procedeva un sontuoso simulacro di Madonna a cavallo in guisa guerresca. Quando fu costruito il carro trionfale ferragostano, cioè la Vara, la “Madonna ufficiale” fu trasferita lì ma ne rimase la controfigura equitata, perciò si ritenne di reinventarla come signora di Zanclo. Entrambe le figure poi furono rifatte più grandi e montate su cavalli.
Del gigante Zanclo parlò già Ecateo di Mileto nel 500 a.C. (riportato da Stefano di Bisanzio nell’Ethnika) e poi il nostro compatriota Diodoro (Bibliothēkē historikē), anche se la statua processionale fu ispirata dal Messano di Guido delle Colonne (Historia destructionis Troiae, 1287 d.C.). Siccome la Gigantessa prevaleva sul Gigante (essendo la Madonna), i dotti la convertirono in Cibele o Rea, la Mētēr Theōn (“madre degli dèi”), a scopo celebrativo; il naturale passo successivo fu identificare Zanclo con il compagno della dea, il dio Saturno che con la sua Falce creò il nostro porto, il quale già dagli evemeristi (lo Scitobrachione in primis) era detto essere un sovrano atlantideo della Sicilia, della Libia e dell’Italia. Subentrò poi pure la frangia “cristianista”, che negò la divinità di Saturno e lo identificò con lo scuro Cam figlio di Noè – antenato di Nubiani, Egiziani, Libici e Cananei – nominato nel Pentateuco, il quale colonizzando le terre si sarebbe recato in Sicilia ove costruì la primiera Zancle.
Se interrogassimo un messinese d’allora e indicando i Giganti domandassimo quali sono i loro nomi, risponderebbe senz’esitazione: “Zanclo e Rea!” (scena esilarante)!
Volete le prove? Cito testualmente G. C. Buonfiglio (Messina, città nobilissima, 1606), P. Samperi (Iconologia della gloriosa vergine madre di Dio Maria protettrice di Messina, 1644) e G. d’Ambrosio (Quattro Portenti della Natura, dell’Arte, della Grazia, e della Gloria, 1685): “… i Colossi à cavallo di Cam, & di Rea sua moglie, dal volgo detti il Gigante, & la Gigantessa come primi progenitori di Messina…”, “… due gran Colossi à cavallo di forma gigantesca, […] l’uno che rappresenta Zanclo, ò Saturno, l’altro Rhea, Cibele, overo Opis sua moglie, e sorella…” e “… la statua di Zanclo Gigante, che si aggira ogn’anno nel mezz’Agosto per la Città con sua Moglie Cibele…”; e altre ne avrei. Chi ne sa di più? Gli studiosi che quei Giganti li hanno visti fabbricati nuovi, oppure la tradizione popolare di cinquecento anni dopo?
Arrivano Mata e Grifone…
Cominciò il tourismo. Fu il pittore J. Houël il primo a identificare i Giganti con Grifone e sua moglie (come Principe di Messina sconfitto dal conte Ruggero, in Voyage pittoresque des Isles de Sicile, de Malte et de Lipari, 1784) quando visitò Messina nel 1776; dopo di lui, W. Irvine nel 1808 per primo nomina la coppia “Madre e Griffona” (come esemplari di giganti che fondarono Messina, in Letters on Sicily, 1813); infine, con lo storico C. Botta compaiono “Mata e Grifone” (come gigantesca coppia di abitanti del castello Matagrifone, in Storia d’Italia dal 1789 al 1814, 1824); nessuno prima conosceva questi due personaggi, eppure i viaggiatori cominciarono a registrare questa doppia nomina finché presero il sopravvento i nuovi epiteti, anche se nessuno enunciava la fiaba del razziatore straniero e della cammarota. Dunque, come nacquero queste leggende?
Bisogna rammentare che il popolo illetterato tendeva a interpretare la realtà in modo distorto e arrivò al punto di convertire baldanzosamente don Giovanni d’Austria da figlio dell’imperatore Carlo V a guerriero saraceno che si ribellò all’Islam e sconfisse il padre musulmano in battaglia grazie a un’ora di luce in più, il tutto semplicemente perché la sua statua poggia il piede sulla testa del suo avversario Muezzinzade e perché di lui si ricordava che avesse vinti “i sarracini”; veramente, questa storiella la tramanda Pitrè (Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane), il quale nel 1871 iscrisse anche il racconto di Mata e Grifone in cui erano loro i Giganti (ma non nostri antenati), lei cammarota e lui cannibale, dimoravano nel castello Matagrifone (giustappunto!) e si narra che il gigante fu ucciso da un ragazzino (che sarebbe l’Orione della Fontana) davanti alla Cattedrale; la fantasia galoppava certamente più degli enormi cavalli. Molto probabilmente i turisti, inconsapevoli e ingenui, si facevano spiegare le cose da pii ignoranti convinti di quelle versioni, e così diffuse l’erronea interpretazione, finché gli stessi autori siciliani presero a riportare insistentemente i nomi Mata e Grifone, segno che ormai l’“eresia xeno-popolana” sul mistero della nascita di Zancle aveva preso piede a scapito della fede originaria, anche se non sùbito nella forma della Fabula Cammarota.
Concludendo, si giunge a questa ricostruzione: il volgo di quella Messina sapeva che quei Giganti erano la coppia fondatrice, ma non ne capiva l’identità, perciò elaborò un’esegesi distorta che ne fissava la dimora al Matagrifone, facendone risalire l’etimo alla fusione dei loro nomi temibili, e stabilendo che corrispondevano ai personaggi storici di Signore di Messina e consorte, per completare infine con la montatura tardiva della Fabula Cammarota, ma conservando sempre il dettaglio che Messina era stata fondata dal Gigante e dalla Gigantessa.
Molte altre sono le ipotesi mie e altrui, ma le ho omesse per non stancare il pubblico.
Passeggiate vecchie e nuove
Comunque, se la Gigantessa non è Mata, e Mata era cammarota, la Gigantessa non era cammarota, quindi Camaro non ha nulla a che fare con i Giganti. Perciò diventa spinosa la Passeggiata dei Giganti a Camaro: quella salita non fa parte dell’antica tradizione come erroneamente si dice, ma è frutto d’un desiderio del borgo espresso qualche decennio fa, spinto dall’errore che vuole Camaro il luogo natio della Gigantessa. Ma perché proprio Camaro?
A un certo punto fu ideata una strana etimologia di Camaro nell’equazione: “Cam + Rea = Camrea = Camaro”, per la quale Cam e Rea avrebbero vissuto presso il torrente lasciandovi i loro nomi; tale glorificazione probabilmente risale alla costruzione dell’acquedotto del 1547 che attingeva dal fiume Camaro, indicato per Messina come il Tevere per Roma e il Nilo per Menfi. Leggende a parte, è plausibile che il villaggio preistorico del Camaro sia uno degli abitati peloritani più antichi, anche più di Zancle, che potrebbe essere stata edificata come suo porto (pretta speculazione).
Si badi: nessuno vuole togliere a questi villaggi l’accoglienza ai Giganti, anzi, consiglio ai Cammaroti d’avallare l’“ipotesi Camrea” sopra detta (molto più credibile) e tramutare quella salita in una “visita di Cam e Rea al fiume quattromila anni fa”.
Urge ricreare una Passeggiata dei Giganti che sia più fedele all’originale ma capace di coinvolgere un conglomerato urbano più esteso che mai.
Un appello peloritano
Le cose che diciamo, le diciamo per amor di verità, non per denigrare fratelli e sorelle.
È l’ora di scindere la Fabula Cammarota dalla fondazione di Zancle e restituire ai Giganti la vera identità: Messina non è città recente ma una delle più antiche dell’intero pianeta e non le fa onore un mito d’origine traviato; rincresce ed è deprimente, da parte dei suoi stessi abitanti. È come dire che don Giovanni d’Austria era un saraceno et cetera: chi ha il coraggio di raccontare tale assurdità solo perché c’è quella leggenda? Rattrista che persino fonti primarie di divulgazione continuino a ripetere un’errata versione spacciandola per autentica.
A chi apprende, si chiede di divulgare queste informazioni Urbi et Orbi, poiché sterili sono gli argomenti degli studiosi se non si diffondono; ed è effettivamente stancante notare che la comunità continua a giacere sempre nel medesimo errore.
Per chiarire queste cose ho consultato oltre a quelli citati gli scritti di F. Maurolico, C. D. Gallo, D. Puzzolo Sigillo e G. la Corte-Cailler, e le trattazioni Teatro Mobile. Feste di Mezz’agosto a Messina (1991) di S. Todesco e G. Molonia, Archivio Storico Messinese n.68 (1995) di G. Giorgianni e La Vara (2004) di A. Fumia e F. Riccobono. Affidiamo le testimonianze veraci dei sapienti al buonsenso della popolazione peloritana, alla quale è dedicata la festa di Mezz’Agosto.
Affinché il prossimo incontro con Zanclo e Rea possa essere più vivido ed emozionante; buon Ferragosto!
Non spiega la coincidenza dei giganti nel folklore calabrese