Il “progetto accoglienza”, portato avanti dalla Fondazione “Aiutiamoli a Vivere”, consiste nell’ospitalità che un gruppo di famiglie offre a dei bambini provenienti dalla Bielorussia per un periodo di un mese all’anno.
Il 26 aprile 1986 l’umanità si risveglia con l’incubo della catastrofe di Chernobyl. L’esplosione della centrale nucleare provoca numerose vittime e la diffusione in atmosfera di un’immensa quantità di sostanze radioattive.
La Bielorussia è stata la più colpita dalle radiazioni diffuse dall’incidente. Le conseguenze di tale tragedia sono destinate a durare a lungo, perché gran parte del territorio anche a distanza di 34 anni, è gravemente contaminato. I riflessi economici sulla vita del paese sono drammatici come quelli sociali e sanitari e trovano nei bambini le prime vittime.
Aiuti reali
Il “progetto accoglienza”, portato avanti dalla Fondazione “Aiutiamoli a Vivere”, consiste nell’ospitalità che un gruppo di famiglie offre a dei bambini provenienti dalla Bielorussia per un periodo di un mese all’anno, durante il quale i bambini potranno aumentare le difese immunitarie, migliorare la loro salute generale e sperimentare un’accoglienza affettuosa e solidale.
È stato dimostrato che un mese in Italia restituisce due anni di vita rubata dalle radiazioni e pone le premesse per un più profondo risanamento del corpo e dello spirito.
Il comitato di Messina “Agnese Falgetano”, fondato nel 2001 ha ospitato ad oggi oltre 600 bambini.
L’adesione per le famiglie al progetto per la campagna 2020, può essere effettuata entro il mese di marzo.
Informazioni presso la sede: Parrocchia S.S. Paolo e Nicolò di Bari, via Nazionale Briga Marina
Info tel: 3357658673 Lillo Manganaro
Mail: favmessina01@gmail.com
Di quel periodo (2001) ho il ricordo di un bimbo con gli occhi azzurri, cicciottello, di nome Pietro (Piotr in russo), spaesato anche lui come il resto del gruppo. Un giorno, durante la visita medica , indicando un oggetto gli chiesi in russo, all’improvviso, “Pietro, cos’e questo ?”, I suoi occhi brillarono di felicità (nel risentire la lingua paterna” e mi rispose correttamente. Io terminai il dialogo, dicendogli, sempre in russo “molto bene, Pietro”. Un mio collega, sorpreso, mi chiese cosa gli avessi detto di tanto bello per lui. Io gli risposi che non avevo detto nulla di particolare se non domandargli direttamente e non tramite l’interprete, cosa fosse quell’oggetto, in lingua russa. Lo ammetto, ancora adesso, il ricordo mi emoziona. Mi chiedo oggi se quel ragazzo, e’ vivo o meno, e dove si trova.