Intervista con la profuga Shokria Ahmadi. Grazie allo status di rifugiata, studia Scienze biologiche e vive in città con la madre e le sorelle
di Marco Olivieri, riprese e montaggio di Matteo Arrigo
MESSINA – “Un giorno, all’improvviso, è cambiata tutta la mia vita. Ed è stato davvero difficile”. Si chiama Shokria Ahmadi, è nata nel 2001 a Herat, città dell’Afghanistan, in una famiglia colta e benestante, e ora è una profuga. Dopo un anno a Sassari, lei, la madre e le due sorelle vivono a Messina, in una struttura a Villa Lina, grazie allo status di rifugiate. La sua vita precedente era agiata, tra gli studi e gli incoraggiamenti alla conoscenza, senza discriminazioni in base al sesso, da parte dei genitori. Il tutto al riparo dalle emergenze sociali di un Paese martoriato da guerre e occupazioni. Una quotidianità spezzata dall’arrivo dei talebani. Shokria, sua madre e le sorelle sono riuscite a fuggire, nell’agosto 2021. Le immagini dei civili che s’aggrappavano agli aerei, a Kabul, sono rimaste impresse nella memoria degli occidentali. E le esplosioni e gli attentati dei talebani hanno costretto la famiglia Ahmadi a separarsi. Da una parte la madre e le figlie; dall’altra il padre e i due fratelli, minori.
Con i corridoi umanitari sono arrivate in Italia. Uno strumento che si deve all’impegno incessante di realtà come l’Arci e la Comunità di Sant’Egidio. Sono le organizzazioni non governative che, a loro spese, fanno di tutto per fare andare via dall’Afghanistan, e da altri Paesi, le persone in pericolo. Dall’Afghanistan al Pakistan e poi all’Italia, Shokria è arrivata prima in Sardegna. Da un anno, a Messina, studia Scienze biologiche e punta a trasferirsi in Medicina.
Il fratello dodicenne torturato perché aveva i capelli lunghi
La giovane risponde con pacatezza alle domande in video, nella sede del Circolo Arci “Thomas Sankara”, e la sua speranza è che presto il padre e i due fratelli possano raggiungere il resto della famiglia. Non è facile andare via, con i corridoi umanitari, e bisogna trovare rifugio nell’ambasciata di un altro Paese, dopo aver ottenuto il visto. La donna non lo dice nel video ma, tra i tanti traumi subiti, uno ha riguardato suo fratello. I talebani si sono accaniti su un ragazzino di dodici anni, torturandolo perché aveva “osato” andare a scuola con i capelli un po’ lunghi. Un ferro da cavallo ha martoriato il suo braccio e da allora lui non ha più voluto seguire le lezioni.
Mentre Shokria Ahmadi risponde alle domande di Tempostretto, l’Arci è impegnato a trovare soluzioni per tante donne, e non solo donne, spesso nella latitanza dei governi. Ragazze che anelano alla libertà e non vogliono essere costrette a sposarsi per diventare una proprietà dei loro mariti. Non è semplice ma lo sforzo è quello di spezzare le catene. Un’altra vita è possibile.