La soluzione, a vent'anni dall'omicidio, grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia
Il movente dell’omicidio Costanza sarebbe da ricercarsi nel fatto che l’uomo aveva provato ad estorcere denaro nella zona tra le province di Messina e Palermo ad alcune ditte riferibili all’imprenditore Michele Aiello, di Bagheria, ritenuto vicinissimo a Bernardo Provenzano e già implicato nella vicenda giudiziaria delle “talpe in Procura” a Palermo.
Quelle ditte erano già “messe a posto”. Così Aiello si era lamentato e Provenzano aveva chiamato Giuffrè, che a sua volta si era rivolto a Virga, che aveva incaricato i referenti del clan dei mistrettesi.
Il vertice di Tusa
Tutt’e tre i collaboratori di giustizia, Giuffrè, Bisognano e Barbagiovanni, hanno riferito del vertice in un casolare abbandonato di Tusa nel quale fu deciso l’omicidio Costanza, qualche settimana prima.
Bisognano e Barbagiovanni parteciparono a quella riunione, insieme a Virga, Rampulla e lo stesso Costanza, al quale chiesero spiegazioni in merito alla richiesta di pizzo a ditte già “protette” e al fatto che avesse trattenuto denaro destinato a clan mafiosi palermitani.
Non avendo ritenuto convincenti le risposte di Costanza, decisero di ucciderlo. L’incarico fu affidato ai batanesi e l’omicidio commesso da Barbagiovanni, oggi reo confesso, e Costanzo.