Nella terribile alluvione di Giampilieri, Nino Lonia ha perso tutto: la moglie, i figli di 2 e 6 anni, il suocero.
“Nino sta venendo giù più fango di due anni fa”.
“Scappate. Andate via. Prendi i bambini e andate via”.
“Non possiamo uscire di casa, c’è il portone bloccato dal fango. Sta salendo sempre di più. Non ci possiamo muovere.
Nino, Nino, Nino, Ninoooo”.
Le urla. Poi il silenzio. Un silenzio che non è mai più stato spezzato. Erano le 19.30 di quel maledetto 1 ottobre 2009. Nino Lonia era al telefono con sua moglie Maria Letizia Scionti. Lui era in viaggio sul camion per lavoro, era partito la mattina, stava guidando verso Verona. Lei come sempre era rimasta a casa con i loro bambini, Lorenzo e Francesco. Avevano 6 e 2 anni.
1 ottobre 2009
“Era un giorno normale, però ricordo che stranamente mia moglie mi fece tante telefonate. Già dal mattino, quando ancora mai nessuno poteva immaginare cosa sarebbe accaduto. Avevamo un rapporto speciale, auguro a chiunque di avere la fortuna di un matrimonio come il mio. Era normale sentirsi spesso quando io ero fuori per lavoro, però quel giorno fu diverso. Mi chiamò per dirmi che quando sarei tornato voleva comprare una moto. Le piacevano tanto. E siccome i bambini avevano appena iniziato la scuola e l’asilo mi ha detto che così potevamo goderci un po’ di tempo libero insieme, fare delle passeggiate e andare a fare colazione fuori ogni volta che avremmo potuto”.
L’ultima telefonata
Poi però un destino amaro ha bussato con violenza alla porta di quella famiglia felice. Alle 19.30 Maria Letizia telefona per l’ultima volta a suo marito. Lui la sente urlare e andare via per sempre.
“Ero per strada, ho lasciato il carico che stavo trasportando e sono tornato indietro. Ho capito subito che era successo qualcosa”.
Da quel momento più nessuna notizia. I telefoni a Giampilieri erano fuori uso. Nino Lonia riesce ad arrivare in paese alle 7 del mattino del giorno dopo. Per strada qualcuno gli aveva detto che suo figlio era alla scuola in lacrime che lo cercava. Lo avevano confuso con Brian, un altro bimbo di Giampilieri che si è salvato. Nino ha guardato verso la sua casa. Non c’era più. Cancellata. Tutto intorno solo fango. E nel cuore un macigno.
In quel momento sono morto
“In quel momento sono morto. Non ricordo nulla per i tre giorni successivi. A distanza di dieci anni non so cosa ho fatto da quel momento fino a quando, tre giorni dopo, non è stato ritrovato il corpo di mia moglie”.
Poi l’agonia per altri 10 giorni. Nino Lonia è rimasto lì a cercare i suoi bambini. Ad un tratto un odore fortissimo. “Ho capito che li avevano ritrovati. Quell’odore ce l’ho ancora nelle narici. Mi hanno portato via, mi hanno voluto proteggere, non me li hanno fatti vedere. Ho realizzato che non avevo più niente”.
Una macchina fotografica
L’unica cosa che si è salvata della sua casa, della sua vita, è una macchina fotografica. L’hanno trovata i volontari che scavavano. Era intatta, neanche un graffio. In mezzo a quell’inferno che aveva devastato case e vite.
“In quella macchina ho trovato 700 fotografie di mia moglie, dei miei bambini, dei nostri giorni felici. È tutto quello che mi è rimasto”.
Il ricordo fa male, oggi come dieci anni fa. Anzi di più. Ogni anniversario ha fatto crescere la rabbia dentro il cuore di Nino. Perché nessuno ha pagato per quello che è successo a Giampilieri. Nessuno ha avuto colpa per la morte di 37 persone.
Nessun colpevole
“La giustizia mi ha deluso profondamente. Mi chiedo come sia possibile che siano cadute tutte le accuse. Non mi do pace per questo. Come posso riuscirci? I miei figli avevano una vita davanti e gli è stata strappata. Finché vivrò cercherò qualunque spiraglio per rendere giustizia alla mia famiglia. Mi è stato tolto tutto. Non possono togliermi anche questo. Le carte parlavano chiaro, come hanno potuto ribaltare completamente le prime sentenze e assolvere tutti?”.
Le carte del 1996
Lo dice mentre tira fuori dal portafogli due carte. Risalgono addirittura al 1996. All’epoca ci fu un evento alluvionale a Giampilieri e il suocero Salvatore Scionti scrisse al Comune segnalando che c’erano state diverse frane e che il canalone di scolo adiacente la sua casa in via Puntale era totalmente otturato. Aveva chiesto l’intervento dei Vigili del Fuoco che si erano recati sul posto e poi avevano scritto al Comune e alla Provincia chiedendo di intervenire con urgenza per ripulire il canalone in cui si erano ammassati fango e detriti a causa dello smottamento dei terreni soprastanti. Era il 6 ottobre 1996. Poi ci fu il 2007. Ma non servì a nulla. Come non è servito neanche a dimostrare che delle responsabilità e evidentemente ci sono state.
Amarezza, rabbia, sconforto, solitudine. “All’inizio tante promesse, tante belle parole. Ma fatti non ne sono arrivati. Mi avevano offerto un lavoro tramite la Protezione Civile regionale. E quando mi sono presentato ho scoperto che era per una ditta di movimento terra che avrebbe lavorato a Giampilieri nel post alluvione. Avrei dovuto lavorare in quel fango da cui avevo tirato fuori la mia famiglia. Questo è il massimo che sono riusciti a fare per me”.
Nino Lonia non crede più in niente. Dopo aver seppellito i suoi cari ha trascorso un anno e mezzo chiuso in casa. “Se non fosse stato per i miei amici, per mio cognato, per i miei cugini, oggi non sarei qua”.
A Giampilieri nessuno ha avuto un risarcimento per la perdita dei suoi familiari. 37 le vittime accertate. L’assoluzione di tutti gli imputati ha fatto cadere la possibilità di ottenere i risarcimenti. A Nino Lonia non interessano i soldi, non gli restituiscono quello che ha perso. Però non può fare a meno di pensare che anche i soldi che ci sarebbero stati in ballo forse hanno portato il processo verso una direzione che lui non riesce ad accettare.
Non si sopravvive
La sua vita adesso continua. Ha cercato di ricostruirsi piano piano. Come si sopravvive a tutto questo? “Non si sopravvive. All’inizio mi sentivo in colpa per essere ancora vivo. Poi ad un certo punto ci si fa forza e si va avanti”.
Lo dicono chiaro i suoi occhi. Basta guardarlo per rendersi conto che qualcosa dentro di lui si è spenta per sempre.
Nino Lonia non è più tornato a Giampilieri. Riesce ad andarci solo una volta l’anno, nel giorno dell’anniversario per partecipare alla messa. Quando piove ha paura, non esce di casa.
La moto desiderata dalla moglie
Quella moto però l’ha comprata. La moto che sua moglie desiderava tanto e che gli aveva chiesto per telefono il 1 ottobre del 2009 lui l’ha comprata. Sul serbatoio ci sono i volti di Lorenzo, Francesco e Maria Letizia. Sul casco ci sono le iniziali dei loro nomi, i fulmini che quella notte hanno squarciato il cielo di Giampilieri e poi le stelle che sono tornate a brillare. Le sue tre stelle che dal 1 ottobre 2009 lo guidano e lo proteggono da lontano. Forse è questa l’unica cosa in cui riesce ancora a credere.
Francesca Stornante