Hamdan è nato con una malformazione alle gambe che non gli permetteva di camminare, per questo sin da bambino è stato rinchiuso in casa. Oggi vive da profugo nel campo di Betlemme
Di Matteo Arrigo
BETLEMME. Domenica di Pasqua, il nostro immaginario vola geograficamente alla terra in cui Gesù storicamente visse, la Terra Santa. Santa e crudele, terra di soldati e santi, di tonache ed elmetti, di calici e fucili, terra degli uomini e delle donne, terra reale e non quella celeste. Una terra dove i cittadini palestinesi vivono tutto l’anno la loro quotidiana “passione”. Una vita fatta di barriere, privazioni, muri, permessi.
Qui ho incontrato Hamdan, profugo palestinese dalla nascita. La sua storia è molto particolare: Hamdan è nato con una malformazione alle gambe che non gli permetteva di camminare, sin da bambino è stato rinchiuso in casa, nascosto alla vista della gente, invisibile ad una società che considera la disabilità una vergogna, un castigo divino. Crescendo ha avuto la forza di reagire, aiutato da un’associazione è volato in Italia, dove qualche anno fa grazie ad un intervento chirurgico ha acquistato la possibilità di camminare, seppur con l’aiuto indispensabile delle stampelle.
La vita nei territori occupati
Hamdan ha perdonato chi l’aveva imprigionato, ha superato le barriere, è riuscito ad avere la sua vita costruendosi una famiglia e una casa nel campo profughi di Deisha a Betlemme. È lì che l’ho conosciuto, nella Piazza della Natività, dove lavora vendendo souvenir ai turisti, guidandoli fra la Basilica e il muro di separazione. Porta in giro le persone seguendole con la sua macchinina elettrica, un dono che è riuscito ad avere grazie ad una raccolta fondi italiana. Vive con le offerte dei turisti, perché in Palestina non esistono sussidi per gli invalidi. Ho seguito Hamdan fino a “casa” sua, nel campo profughi, le sue quattro mura con un tetto. Qui scorre la sua vita tra un’infinità di divieti ed ostacoli, in un posto come la Palestina dove il concetto di libertà quasi non esiste. La sua vera casa è rimasta dall’altro lato del muro di separazione, lì dove la sua famiglia è stata cacciata più di mezzo secolo fa. Ora vive con la moglie e i due figli dentro la gabbia dei territori occupati. Come migliaia di altri profughi, porta un desiderio nel cuore: tornare al suo villaggio d’origine: “Riuscire un giorno a portare mio figlio a vedere il mare”, è questo il suo sogno più grande. Una frase che mi fa riflettere ogni volta che parliamo di libertà. Buona Pasqua a tutti.
👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏come SEMPRE a Matteo Arrigo che ci porta con la sua sensibilità e bravura a farci riflettere su tematiche che toccano il ❤️…..non conoscevo questa realtà 😳 così INGIUSTA come tutte le divisioni,e guerre esistenti nel mondo e lascia sgomenti che in Terra Santa ancora dal 1948 NULLA è cambiato per fare cessare queste INUTILI barriere che portano solo SOFFERENZA e PRIVAZIONI …..Hamdan è stato privato due volte dalla libertà di muoversi🥺….. dall’incolpevole malformazione dalla sua nascita, e dalla colpevole natura, invece, in questo caso dell’uomo che ha dimenticato i principi per cui nasciamo LIBERI ….. Hamdan spera di riuscire un giorno a portare il figlio a vedere il mare ,e gli auguro che il suo sogno diventi presto REALTÀ🤞!!!