Tra problemi di strade e di sostentamento, l'attività della Coop Overland prosegue. In zona sud già apposte alcune targhe, apprezzate dai cittadini
di Giuseppe Fontana e Matteo Arrigo
MESSINA – Non tutti se ne sono accorti, ma in tanti ce lo avete segnalato: in alcuni villaggi della zona Sud di Messina sono “spuntati” dei cartelli, targhe di legno su cui sono incisi i nomi dei quartieri o delle piazze. Si tratta di un servizio messo a punto al rifugio Sant’Eustochia dalla Coop Overland, che si occupa di assistenza, recupero, formazione, educazione e reinserimento sociale di persone fragili per lo più provenienti dal settore carcerario e tossicologico, operando in convenzione con il Tribunale di Messina, con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna e con l’Ufficio Servizio Sociale Minorile.
Il laboratorio di falegnameria del rifugio
Nel laboratorio di falegnameria, solo una delle attività svolte al rifugio di Larderia Superiore, sono stati prodotte le prime targhe. Alcune costeggiano la strada interna dell’area, e mostrano i nomi delle vittime della mafia. Altre, invece, sono state già sistemate lungo le vie e nei villaggi della zona Sud mentre altre ancora saranno realizzate e diffuse alla città perché “sono state accolte molto bene quelle già presenti”. A spiegarcelo è stato uno dei soci, Antonino Mandia, che ci ha raccontato l’iniziativa sottolineando che Overland e il rifugio “lavorano per la comunità e per questo abbiamo voluto creare qualcosa che possa servire, magari anche in chiave turistica”.
Il problema della strada e quello del sostentamento
I problemi del rifugio, però, restano tanti. Uno è legato alla strada per arrivare alla struttura principale ed è stato già sollevato settimane fa. “Una strada comunale – racconta Antonino Mandia – per cui abbiamo richiesto un intervento. Non si tratta di qualcosa di banale, potrebbe essere molto pericolosa e a forte rischio frane”. Senza contare il problema legato al sostentamento: “Le attività sono tutte importanti, ma ovviamente questo è un tema delicato. Detenzione, pene alternative, sono sempre più attuali. Si tende a ricucire il tessuto sociale e non a dividerlo. Bisogna lavorare tanto, perché dobbiamo renderci conto che ogni vita, anche chi è stato in detenzione, resta una vita e ha una condizione umana da rispettare. In questo momento noi non abbiamo nessuna sovvenzione, il rifugio va avanti grazie alle donazioni e al sostegno dei soci, oltre che a quello della città”.