Assicurati alla Giustizia dopo un lungo inseguimento: s'erano appena liberati del loro "carico umano". Ora rischiano fino a 15 anni per traffico di migranti
Le acque joniche della Calabria sono state il teatro il 3 e 4 giugno, di una complessa e articolata operazione aeronavale della Guardia di finanza tesa al contrasto del traffico di migranti via mare.
Nella mattinata del 3, un velivolo ATR 42 del Comando Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Pomezia, operante in una missione Frontex di esplorazione e scoperta finalizzata soprattutto a questo scopo, ha individuato un peschereccio sospetto, diretto alla volta delle coste italiane. L’imbarcazione, presumibilmente partita dalle coste libiche, recava a rimorchio un battello più piccolo, e, giunta a 80 miglia dalla costa calabrese, si è fermata e da questa sono trasbordati sul natante rimorchiato quelli che poi si sono rivelati essere 37 migranti (35 minori), indirizzati dai trafficanti alla volta della costa calabrese.
Il peschereccio, libero del proprio carico umano ha quindi invertito la rotta con l’intento di sfuggire a eventuali controlli e realizzare così ulteriori crociere della specie.
Grazie all’osservazione preventiva è stata immediatamente attivata una articolata operazione che ha coinvolto 5 unità navali e un elicottero. Tre unità del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Vibo Valentia sono state indirizzate a intercettare il natante diretto verso le coste fra Roccella Jonica e Siderno, le altre due, di altura, appartenenti al Comando Operativo Aeronavale di Pomezia, si sono dirette all’inseguimento del peschereccio in fuga.
Gli operanti, in coordinamento, hanno monitorato l’evoluzione della situazione anche con l’ausilio di un elicottero del Roan di Vibo Valentia, dalla Sezione Aerea di Lamezia Terme, che ha assicurato il controllo dall’alto della progressione del barchino in avvicinamento, così da far scattare l’intercettazione quando il piccolo natante avesse raggiunto le acque territoriali italiane, circostanza indispensabile per consentire il fermo in acque internazionali del peschereccio in fuga, nel frattempo controllato al radar dalle unità alturiere operanti.
Alle 21:30 del 3 i migranti, ormai in acque italiane, sono stati bloccati e recuperati dai militari del Corpo che li hanno condotti a Roccella Jonica per le operazioni del caso, con la collaudata collaborazione degli enti e delle istituzioni all’uopo preposti, mentre il battello utilizzato, in precarie condizioni, è affondato prima che potesse essere rimorchiato nel porto jonico.
Più a sud in alto mare le unità navali della Guardia di Finanza hanno stretto progressivamente le distanze e, a mezzanotte, a circa 140 miglia marine dalla Calabria (260 chilometri), hanno fermato e abbordato il peschereccio, privo di nominativo e bandiera, ove sono stati trovati a bordo 8 uomini di equipaggio di provenienza nordafricana.
L’unità, in grado di navigare autonomamente, è stata scortata dai finanzieri alla volta del porto di Roccella Jonica dove è giunta nella tarda serata del 4, ove hanno avuto luogo le operazioni di polizia finalizzate a mettere a disposizione dell’autorità giudiziaria i membri dell’equipaggio e il mezzo stesso, così da sanzionare i responsabili e ricostruire il traffico.
La particolarità del servizio è data dalla condotta dei trafficanti i quali agendo da nave madre in acque internazionali avevano cercato di ridurre o eliminare il rischio di essere intercettati.
Gli accordi internazionali e la prassi operativa perfezionata negli anni, però, consentono in casi come questo, in cui vi sia un collegamento fra una condotta dannosa per lo Stato che la subisce, quale l’introduzione di migranti nel territorio, e l’imbarcazione utilizzata, di fare un’eccezione alla regola generale della libertà di navigazione in acque internazionali, permettendo di estendere i propri poteri di polizia nei confronti dei responsabili, come se si trovassero sul territorio italiano.
I membri dell’equipaggio del peschereccio rischiano quindi ora di essere sottoposti alle stesse conseguenze patite precedentemente dai facilitatori trovati a bordo delle numerose imbarcazioni intercettate dalle Fiamme Gialle in questi anni che, riconosciuti colpevoli di traffico di migranti, sono stati sottoposti, nei casi più gravi a pene detentive comprese fra i cinque e i quindici anni di carcere.