Il Comune chiede circa 180mila euro per affitti non pagati negli ultimi 5 anni. "Libera", Morra, de Raho: più attenzione al testimone di giustizia
La prima cosa che ti colpisce, se ci fai caso, è quella che non vedi.
Sì, perché per cinque lunghissimi anni, andare a trovare in negozio Tiberio Bentivoglio – o meglio, Tiberio e la moglie Enza Falsone – significava incontrare qualcuno.
Incontrare i militari di scorta, presidio fisso davanti alla “Sanitaria Sant’Elia”, ubicata nel cuore della “via Marina Alta”. Essere il primo testimone di giustizia in Italia a entrare in un bene confiscato, dopo tante intimidazioni subite – incluso un tentato omicidio -, significa anche questo.
Ma quattro mesi fa, al momento di tirare giù la claire, un militare s’è avvicinato con discrezione alla Falsone: Signora, vi salutiamo perché da domani non ci saremo più.
Sì, perché a quinquennio scaduto è terminato anche il periodo di scorta. E nessuno, tra le Istituzioni impegnate sul territorio reggino e calabrese, ha pensato d’inviare anche solo una riga di WhatsApp al coraggioso testimone di giustizia. Almeno per avvisarlo, come semplice gesto di cortesia.
Rimane dunque il servizio di scorta alla persona, ma non quel presidio fisso militare davanti alla sanitaria che era stato un po’ la chiave ideale del trasferimento dei locali, come a dire: nessuna forza oscura prevarrà, dove lo Stato c’è e si vede.
La denuncia di “Libera”
Don Ennio Stamile sottolinea come quella di Tiberio sia «una storia di coraggio e di solitudine, d’ingiustificabili ritardi della Prefettura reggina – fa presente il referente regionale di “Libera” -, di attese di verità e di giustizia per le sue reiterate denunce».
Al netto della ricostruzione della storia di Bentivoglio, il racconto si sofferma sul 2016. Cinque anni fa (appunto), venne bruciato il deposito di Bentivoglio, nei pressi dell’ex facoltà d’Architettura dell’Università “Mediterranea”.
«Salimmo a turno su un fasciatoio bruciato a denunciare e condannare tali episodi. Ricordo perfettamente alcune espressioni dure del giovane sindaco Giuseppe Falcomatà: “ci avete rotto le p….”. Parole che hanno incoraggiato tutti a continuare la lotta con ogni mezzo. Ma le parole, si sa, servono a poco se non sono poi seguite dai fatti – evidenzia don Ennio –. Così a distanza di sei anni da quell’evento Tiberio si trova ancora nelle condizioni di dover nuovamente sperimentare la solitudine di chi pur vedendosi consegnato un bene confiscato da parte del Comune di Reggio e dallo stesso Sindaco Falcomatà, grazie all’azione puntuale dell’allora capo della DDA reggina Federico Cafiero De Raho, adesso deve fare i conti con affitti esosi in un periodo di profonda crisi economica». Si parla di una richiesta di circa 180mila euro: circa 3mila euro per ogni mese di locazione, una somma molto importante che nei fatti il negoziante-testimone di giustizia non è riuscito a onorare mai.
«Ho cercato personalmente d’intervenire, chiedendo udienza che mi è stata gentilmente concessa a fine aprile. Nonostante l’impegno preso a sederci attorno ad un tavolo al più presto – osserva il referente calabrese di “Libera” –, sono trascorsi inutilmente venti giorni».
Punti fermi
Don Stamile in questo post pubblicato sul suo blog sul Fatto Quotidiano, come Tiberio Bentivoglio nell’intervista a Tempostretto, evidenzia alcuni punti fermi. Per chi denuncia, ci sarebbero «le esenzioni per i tributi locali maturati dal 2012 in poi e il diritto delle stesse a rateizzare le annualità d’imposte e tasse locali». Un diritto riconosciuto dallo stesso Consiglio comunale reggino, con delibera numero 17 già il 27 aprile 2012.
Ma non basta che questo diritto esista; serve anche «applicarlo».
In definitiva, per dirla con don Ennio, «coloro che denunciano non possono né essere lasciati soli, né attendere tempi biblici prima d’essere concretamente aiutati».
Domanda retorica? Forse no…
E allora non può che risuonare l’interrogativo che formula don Stamile all’inizio del suo scritto, il quesito di sempre. Quello formulato da tanti imprenditori e da vari testimoni di giustizia disillusi: «Vale davvero la pena denunciare?».
Nell’intento, vorrebbe essere una domanda retorica ma, alla luce (anche) di questa vicenda, lo è fino a un certo punto. Certo, rispondiamo anche noi. Vale e varrà sempre la pena.
Ma ognuno deve fare la sua parte.
O-gnu-no.
Non si può giocare all’armiamoci e partite; non con la pelle d’imprenditori-coraggio come Tiberio Bentivoglio.
L’auspicio di Davi
In una nota, evidenzia Klaus Davi che l’amministrazione Falcomatà « ha mandato una sorta di minaccia burocratica a un simbolo dell’antimafia»: Bentivoglio, appunto. Al di là delle contumelie politiche, l’ex candidato sindaco conviene che «ora debba prevalere il buonsenso». Si potrebbe, insomma, «individuare una mediazione con Bentivoglio». Anche per evitare lo spiacevolissimo messaggio indiretto che, tra quanti fanno impresa, «chi contrasta il crimine viene lasciato solo».
Morra e de Raho
Non tutte le Istituzioni si sono però dimostrate “patrigne”. Il procuratore nazionale antimafia e il presidente della Commissione parlamentare Antimafia stanno seguendo il caso.
Federico Cafiero de Raho – per anni, procuratore a Reggio – già in Antimafia aveva lamentato il canone troppo alto per il testimone di giustizia. E grazie anche all’interlocuzione di Nicola Morra, Bentivoglio sarebbe in procinto d’essere convocato a Palazzo San Giorgio.
L’intervista a Tempostretto
In quest’intervista audiovideo, registrata alla fine della scorsa settimana, Tempostretto vi propone le nostre domande. Le risposte di Tiberio Bentivoglio. Ma – inevitabilmente, diremmo – anche la sua amarezza