“Prima di facebook e delle altre piattaforme simili, internet era sostanzialmente una rete di pagine e di contenuti, non di persone.”
“Prima di facebook e delle altre piattaforme simili, internet era sostanzialmente una rete di pagine e di contenuti, non di persone.” L’ingresso delle persone, ma soprattutto delle loro vite ha cambiato radicalmente il web, il nostro rapporto con lui e con gli altri. Un’immenso patrimonio di dati, di possibilità, di contenuti si è trasformato piano piano anche in un contenitore pericoloso. Trasformazione non progettata, non voluta sicuramente, ma inserita in quella percentuale di rischio calcolato nel momento in cui qualcuno ha creato il primo social. E se prima dei social esistevano già i blog, anticamere di idee, conversazioni, gusti e persone con l’arrivo di quel mondo “blu facebook” e del tastino like tutto si è radicalmente trasformato.
Il potere di un like
Il like è diventato un’arma potente, una forma di consenso creatrice di successi e di visibilità. Una nuova gestione dell’immagine, un nuovo modo di diventare famosi senza necessariamente possedere un particolare talento o un back ground culturale elevato. A volte basta avere il gatto giusto o dire la frase giusta per diventare virali, una ricerca spasmodica di milioni di visualizzazione e di like perchè spesso e volentieri significano anche soldi in quel nuovo modo di fare business. Gente normale, quindi, che all’improvviso diventa famosa.
Le pre-visioni degli artisti
Un’artista visionario sul finire degli anni ’60 scrisse: “In the future, everyone will be world-famous for 15 minutes“, nel futuro tutti saranno famosi almeno per 15 minuti. Lui era Andy Warhol e in qualche maniera aveva già disegnato nella propria mente i social. Di contro però uno scrittore italiano Umberto Eco, qualche anno fa rimbalzò agli onori e alla furia del web per un’altra affermazione: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
Sicuramente un giudizio estremo, ma non lontanissimo dalla realtà. Gente comune che si trasforma in leoni da tastiera, haters (ovvero i cosiddetti odiatori sul web), influencer. Fenomeni come il cyberbullismo, il revenge porn, le challenge sono solo alcuni degli effetti collaterali nella grande rivoluzione social. Effetti che stanno colpendo inesorabilmente le nostre fasce più delicate: i bambini. Potremmo parlare di una nuova solitudine che colpisce i più piccoli spesso “parcheggiati” con un tablet in mano, privi di strumenti, consapevolezza. Affascinati come solo i bambini possono esserlo davanti ad un mondo che di contro li abbraccia con i like e i commenti, le attenzioni. Un mondo di bambini affamati di “visibilità” che vada in qualche modo a supplire il senso di solitudine troppo spesso diffusa in famiglia, a scuola, nella società. In quel loro modo di urlare “ci sono” anche io che troppo sta finendo in tragedia.
E allora sono arrivate le domande, molte. Le abbiamo fatte a tre esperti Francesco Pira – Professore Associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi – Università di Messina Delegato del Rettore alla Comunicazione – Coordinatore Didattico del Master in Social Media Manager – Svolge da anni attività di ricerca su bambini e adolescenti e nuove tecnologie. Antonino Polimeni – Avvocato specializzato in diritto di Internet, Privacy e Copyright. Vincenzo Maria Romeo psichiatra, psicoanalista e sessuologo. Università degli studi di Palermo
In ogni caso l’istigazione al suicidio, in tutte le sue forme (come questa) è un reato e siamo sul penale. Poi, sarà interessante rintracciare, tutta le filiera di persone che ha portato alla morte quella bimba di 10 anni di Palermo. Auguri di proficuo lavoro ai “segugi” della Polizia Postale.
Condivido ogni parola dell’articolo e soprattutto il commento del prof. Eco.
Aggiungo che l’enorme successo dei social tra gli utenti è dovuto anche al fatto che sono gratuiti (non pagherebbero mai un canone), elementari da usare (sono degli analfabeti informatici) e garantiscono una quasi completa impunità (sono codardi)